Tra gli accademici, gli studiosi di economia mostrano da tempo un particolare interesse verso il mondo della scuola, che, com’è del resto naturale attendersi, sono abituati ad analizzare con gli strumenti propri dell’analisi quantitativa, più che non con dissertazioni metodologiche sull’efficacia delle pratiche didattiche.
Due distinti articoli, uno degli economisti Francesco Drago e Lucrezia Reichlin, sul Corriere della Sera, e l’altro di Immacolata Marino e Jacopo Grossi, sul periodico economico online lavoce.info si pongono in modo autonomo il problema dell’efficacia della chiusura delle scuole ai fini del contenimento del virus, giungendo sostanzialmente alle stesse conclusioni.
L’articolo di Drago e Reichlin, del 15 novembre, anticipa le sue conclusioni sin dal titolo: L’anomalia della scuola tradita. I dati dell’andamento epidemiologico, secondo i due economisti, non giustificano provvedimenti che rischiano di produrre un danno permanente e difficilmente recuperabile su un’intera generazione di giovani. Se è vero che in alcuni paesi la riapertura delle scuole coincide con una maggior diffusione del virus, è anche vero che l’esistenza di una correlazione tra i due fenomeni non implica un rapporto di causalità. A riprova di ciò, i due accademici indicano il caso della Germania, dove la riapertura sembra aver determinato un abbassamento dei contagi tra i giovani, mentre il tasso di diffusione è rimasto inalterato nelle altre fasce generazionali.
Non dissimili le conclusioni degli articolisti del lavoce.info, incentrata sull’analisi comparativa dell’andamento dell’epidemia in Campania e Lazio. Le scuole della Campania hanno aperto dieci giorni dopo quelle del Lazio e hanno chiuso prima. Tre settimane dopo l’apertura delle scuole, sottolineano gli autori, la curva epidemiologica della Campania diventa più ripida (maggior diffusione dei contagi), il che indica un effetto diverso dell’andamento del virus nelle due regioni, che avrebbe dovuto, invece, essere simile in caso di una stretta correlazione tra apertura delle scuole e diffusione del virus. A partire dal 9 novembre, le curve di Campania e Lazio tendono ad avvicinarsi, ma non è chiaro se la diminuzione dei contagi dipenda dalla sospensione dell’attività scolastica in presenza, ovvero, piuttosto, dalla minore mobilità. Quello che appare, invece, più evidente è che la chiusura delle scuole non sembra incidere sul numero delle ospedalizzazioni.
Tanto premesso, non si può non concordare con quanto evidenziato dagli economisti nei loro articoli. Quelli del Corriere parlano di scarsa attenzione storica della politica italiana nei confronti della formazione, ed evidenziano, altresì, che la maggiore propensione alla chiusura delle scuole viene da quelle stesse regioni che fanno registrare risultati peggiori nelle indagini internazionali (il PISA), oltre che il maggior tasso di abbandono scolastico e il minor numero di laureati. Quelli de lavoce.info, si appoggiano a uno studio olandese che quantifica il danno cognitivo provocato dalle otto settimane di chiusura della scuola in quel paese, equiparandolo al danno di una riduzione della durata dell’anno scolastico pari al 20%.
Non sarà, come dice il Corriere della Sera, che la tendenza a chiudere le scuole sia propria di quelle regioni nelle quali le donne lavorano di meno, e, quindi, il provvedimento costa meno di altri possibili e più utili, come, aggiungiamo noi, un intervento sul sistema dei trasporti?